Cino Zucchi,
nato a Milano nel 1955, ha conseguito il Bachelor of Science in Art and Design
presso il M.I.T. nel 1978 e la Laurea in Architettura presso il Politecnico di
Milano nel 1979.
A capo dello
studio Cino Zucchi Architetti ha
progettato e realizzato interventi che vanno dal disegno urbano di aree
storiche, agricole e spazi pubblici ad interventi architettonici per edifici
pubblici e residenziali.
Tra i
progetti maggiormente interessanti ci sono quelli per l’area dismessa della fabbrica ex-Junghans alla Giudecca (1999/2002),
gli Headquarters Salewa a Bolzano (2007) ed il Masterplan per l’area di Keski Pasila a Helsinki (2009).
Egli ritiene che in una realtà complessa come quella
contemporanea l’architetto debba essere in grado di mettere in campo una
multidisciplinarietà che riesca a soddisfare le varie esigenze legate ad un
progetto, sia esso urbano o architettonico. Come lui stesso dichiara l’architetto deve trasformarsi, (…), deve
diventare regista, tecnico, attore, produttore.
Appoggia la tesi sostenuta da Cristopher Alexander nel 1965 in
A city is not a tree, secondo cui la
città non si costituisce partendo da uno schema in cui ogni parte interagisce
con il tutto attraverso un gerarchia piramidale, il modello dell’ albero, ma funziona
piuttosto come un semi-lattice: una struttura aperta dove le parti sono
collegate da diversi ordini di relazioni, estranee alla gerarchia dello zoning,
ma caratterizzate da eterogeneità e multiscalarità.
E’ nella gestione delle relazioni che si inserisce la figura
dell’architetto che dirige le scene come un regista.
Definisce l’architettura come uno spazio di tutti, un atto pubblico e basa la sua professione principalmente
su tre considerazioni.
Secondo Cino Zucchi l’architettura deve essere in grado di
tollerare il disordine della vita quotidiana, non può estraniarsi dalla realtà
ma deve assecondarla in tutti i suoi aspetti. Non si può ragionare solo in termini di audience ma si deve
rispondere all’architettura algida e poco vivibile con dei progetti che siano
in grado di dialogare con tutti i loro fruitori e con i contesti in cui vanno
ad inserirsi.
Il tema del rapporto tra architettura e territorio risulta
altrettanto rilevante nel suo lavoro; egli pensa che ragionare in soli termini funzionali o di
forma porti ad un inevitabile svuotamento di significato dell’opera nel tempo.
Propone come soluzione a questo un radicamento del progetto nel territorio,
applicabile attraverso la comprensione ed
il dialogo con il contesto in cui questo andrà ad inserirsi.
Considera il tema della sostenibilità come uno dei
fondamentali di questo secolo e lo affonta secondo tre diversi punti di vista.
Ritiene che non sia corretto considerare l’architettura
eco-sostenibile come una categoria a parte. Per Zucchi il progetto dell’edificio
deve nascere con l’idea stessa di essere sostenibile perché l’architettura riguarda
l’uomo e questa è la condizione fondamentale per il suo benessere presente e
futuro. Attento alla scelta e all’impiego dei materiali, le forme stesse dei
suoi edifici sono pensate nel rispetto di tali principi.
Pensa alla sostenibilità anche da un punto di vista urbano;
considera lo stile di vita contemporaneo caratterizzato da consumi molto alti e
si pone il problema dell’ottimizzazione delle risorse. Valuta positivamente il
concetto di Green Metropolis che
David Owen ha introdotto in relazione a Manhattan, giudicando positivamente la
riscoperta della città compatta come modello ecologico.
Associa inoltre il tema della sostenibilità al concetto di
durabilità. Ritiene che uno dei modi più efficaci per rendere un progetto e nel
suo complesso una città sostenibili sia creare delle architetture in grado di
inserirsi nel rapporto di resilienza tra forma e durata. L’idea alla base di un
progetto si “scontra” nella pratica con quello che diventa il suo uso, con il
modo in cui la città la metabolizza. Un progetto in grado di adattarsi alle
possibili eventualità risulta continuamente “riciclabile”.
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